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L’Italia ha un grandissimo patrimonio culturale ed artistico. Una ricchezza più unica che rara che viene apprezzata in tutto il mondo.

Nell’ultimo rapporto Istat l’Italia viene definita come un museo diffuso; una sorta di museo a cielo aperto dove la densità di luoghi culturali (musei, biblioteche, monumenti, teatri, parchi archeologici e altro) si aggira intorno ad 1,5 musei ogni X abitanti. Questo si traduce in 4976 musei, gallerie e collezioni (282 sono aree e parchi archeologici e 536 i monumenti e i complessi monumentali) concentrati in particolare nelle regioni di Toscana (548), Emilia Romagna (477) e Piemonte. Le regioni che vantano il maggior numero di visitatori nei propri musei sono il Lazio con il 22,3 %, la Toscana con il 20,6 % e la Campania con il 9,2 %. Al Sud è presente più della metà delle aree archeologiche del nostro Paese, e si concentrano particolarmente in Sicilia e in Sardegna.

Dai dati emerge però un immenso patrimonio artistico non pienamente sfruttato. Anzi. Le possibilità di crescita sono molto importanti soprattutto se si pensa che in una struttura su tre l’ingresso è gratuito ed un museo su tre non incassa più di 20 mila euro annui provenienti dalla vendita dei biglietti.

Questo diventa un dato sempre più considerevole quando si parla di digitale.

I musei italiani ed il digitale

Soltanto la metà dei musei italiani possiede un sito web, ma spesso non è user-friendly, non ha una versione mobile e non ospita servizi aggiuntivi dedicati ad esempio alle famiglie o ai disabili. Ad esempio, esaminando le Homepage, sono presenti delle chiare call to action che rimandano alla biglietteria on-line solo nel 21% dei casi e all’accesso ai profili social nel 51%. 

Inoltre, solo il 50% di questi prevede la traduzione del sito almeno in una lingua straniera. Questo è un grande punto dolente per il turismo culturale che trova quasi sempre il materiale cartaceo tradotto nella sua lingua all’interno del museo, ma non ha la possibilità di approfondire ed arricchire la sua visita con ulteriori informazioni. Questo succede sia in fase preventiva, dove il visitatore non trova spesso né il sito del museo, né un’attenzione particolare alla vendita dei ticket online o ad una minima traduzione delle parti principali del sito, almeno in lingua inglese; sia durante la visita, dove egli non trova una guida in grado di parlare la sua lingua; che nel bookshop o nel servizio ristorazione (presenti in meno dei 20% dei musei). Certo, non sono questi i servizi che fanno decidere per la visita ad una mostra, ma sono servizi accessori che aiutano a vivere un’esperienza unica ed attenta alle esigenze del visitatore. 

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Stesso discorso si può fare per l’utilizzo dei social network (Facebook, Twitter e Instagram sono stati presi in esame): solo il 41% dei musei possiede una pagina social ufficiale, ma sono pochissimi quelli che investono in comunicazione o in promozione in questo settore. Le pagine sono spesso gestite internamente da chi non ha la giusta formazione. Molto interessante è il fatto che solamente il 13% delle istituzioni museali è presente su tutti e tre i social e che invece il 10% dei musei che non ha un sito internet è però attivo su Facebook, come se questo potesse sostituirlo a livello funzionale.

La percentuale si abbassa ancora di più quando si parla di servizi di mailing o newslettering: solo il 25% dei musei utilizza questo strumento di comunicazione.  

Ma si può iniziare a parlare di un vero e proprio allarme quando si prendono in considerazione i dati che riguardano l’utilizzo delle nuove tecnologie dei siti culturali. Meno del 15% dei musei ha un’istallazione interattiva, una ricostruzione virtuale o implementa un sistema di beacon.

Il passaggio al digitale non è ovviamente facile.

E’ un passaggio fondamentale e sicuramente da implementare.” – commenta Antimo Cesaro, sottosegretario ai Beni Culturali – “ma deve andare pari passo con l’investimento sul capitale umano. Le tecnologie da sole non bastano perché ogni innovazione deve essere guidata da risorse umane formate per le nuove sfide che attendono la valorizzazione del nostro immenso patrimonio culturale.”

Vi sono già alcuni progetti pilota come il Smart Archeological Park a Pompei o Reggia Digitale che, renderanno fra pochissimo la visita un’esperienza a 360 gradi. E vi sono già anche alcuni dati assolutamente incoraggianti per chi ha deciso di intraprendere la strada del digitale. Al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) le visite sono aumentate del 30% in un anno grazie ad un piano strategico triennale che ha messo al centro la comunicazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Buone notizie anche per il museo che ha inventato il primo videogame al mondo: presentato a marzo 2017, ha già ottenuto 950mila download e 242mila visualizzazione su YouTube.

La cultura digitale consapevole è ancora materia del futuro, ma pian piano la situazione sta cambiando: internet e i social network non sono più qualcosa da demonizzare, che non toglie spazio alla cultura, anzi sono un mezzo che può offrire grandi potenzialità. Non basta più avere solamente un sito internet, costruito male, o essere presenti in maniera poco attenta e superficiale sui social network. L’importante è instaurare un dialogo con il proprio pubblico, imparare a coinvolgerlo anche attraverso questi nuovi strumenti di comunicazione.