Se è evidente che il mondo dell’arte e ciò che lo contraddistingue è cambiato negli anni è anche vero che il modo in cui le persone percepiscono l’arte oggi è diverso.
Avevo già iniziato a riflettere sul cambiamento dell’arte nella società nell’articolo dedicato al merchandising museale che diventa arte.
Dall’invenzione della fotografia fino agli anni ’60, artisti del calibro di Andy Wahrol hanno portato avanti la loro battaglia per un’arte più inclusiva.
In passato erano i mecenati milionari appassionati d’arte e i movimenti artistici influenti a determinare il gusto creativo generale.
Oggi grazie ai nuovi strumenti tecnologici e a una maggiore libertà di espressione, persone comuni come me e te possono capire meglio cosa significhi per sé stessi l’arte oggi.
Arte accessibile per tutti (o quasi)
È innegabile che l’arte sia sempre più accessibile. Grazie alle nuove tecnologie i contenuti digitali a tema artistico e culturale non mancano. Chiunque disponga di un pc può vedere opere d’arte famose e vagare virtualmente per le sale di un museo, anche gratuitamente.
Il pubblico museale di oggi ha la grande fortuna di avere una serie di informazioni relative ad un’opera o un artista ancora prima di vedere la mostra.
Molte barriere, non solo conoscitive ma anche fisiche sono state abbattute per fare avvicinare più persone possibili al mondo della cultura.
Il merito di questo grande cambiamento è da attribuire soprattutto ai musei. Si sono impegnati nella ricerca di contenuti di maggior interesse e comprensibilità per chi non ha mai frequentato questi luoghi, per timore di non capire, per disinteresse o perché raggiunti da comunicazioni inadatte.
Per il museo di oggi la differenziazione della proposta culturale è di fondamentale importanza. E questo sia per continuare a parlare al suo pubblico, ma soprattutto per raggiungere un pubblico potenziale o ancora di più il cosiddetto non pubblico.
Così facendo sono andati oltre quelle che sono sempre state le convenzioni sociali del mondo dell’arte.
Come attirare un nuovo pubblico
Comunicare a nuovi pubblici e a pubblici potenziali è probabilmente una delle sfide più ardue della museografia moderna.
Ma come per tutto, niente è impossibile ed è di fondamentale importanza soprattutto in questo momento provarci senza timore e intraprendendo alle volte nuove strade.
Rendere i musei più accessibili vuol dire anche questo. Permettere anche a chi non è del settore di raccontare la propria visione dell’arte, soprattutto se ha un grande seguito di pubblico, che puoi così raggiungere più facilmente.
Il ruolo degli influencer
Complice anche la pandemia, così come per altri settori, anche l’arte ha avuto bisogno degli influencer. E non influencer qualsiasi. Le bellezze artistiche italiane meritano influencer da milioni di follower come Chiara Ferragni o l’Estetista Cinica.
Un connubio tra passato e futuro perché l’arte non ha spazio né tempo. Vediamo come, per la prima volta, il mondo di Instagram ha dato una nuova vita all’arte.
Gli Uffizi e Chiara Ferragni
Uno dei non pubblici per eccellenza dei musei sono i visitatori più giovani per i quali si è alla continua ricerca di strumenti adatti per avvicinarli al mondo dell’arte.
In questo senso non può mancare un riferimento all’incremento dei visitatori under 25 dopo lo shooting realizzato agli Uffizi di Firenze da Chiara Ferragni nell’estate 2020.
Secondo i dati comunicati dagli Uffizi, nel fine settimana successivo alla pubblicazione del post relativo alla visita della nota influencer, il museo è stato visitato da 3.600 ragazzi e giovani sotto i 25 anni, contro i 2.839 del week-end precedente: ben il 27% in più.
Siamo forse di fronte al primo esempio di viralizzazione di un museo.
Cappella Sistina e l’Estetista Cinica
Un altro caso che ha richiamato molta attenzione ha visto come protagonista Cristina Fogazzi. Meglio conosciuta come l’Estetista Cinica, la famosa imprenditrice e influencer è stata chiamata dai Musei Vaticani come promotrice di questo prezioso bene culturale.
Non devo di certo dirvi io quanto questi due casi abbiano destato contrarietà. Perché?
Perché se da una parte si impiegano molti sforzi per avvicinare sempre più persone all’arte con nuove forme di comunicazione, dall’altra appena si fa un passo in questa direzione si urla subito allo scandalo.
Non è esente da queste critiche nemmeno il merchandising, visto troppe volte solo dal punto di vista commerciale ed estraneo al mondo della cultura.
Ma a proposito lo sapevi che anche il Louvre, uno dei musei più importanti a livello mondiale per fama, per collezioni e per storia ha attuato una strategia in questo senso?
Il Louvre punta sul merchandising
Il Louvre ha dovuto trovare delle alternative originali per contenere i danni provocati dal periodo di chiusure dovute al lockdown e per mantenere il proprio pubblico.
Solo per citare una delle sue iniziative riporto il caso della collaborazione nata con il marchio di abbigliamento giapponese Uniqlo.
Dal 4 febbraio infatti il Louvre ha messo in vendita nei suoi store, fisici e virtuali, articoli come t-shirt e felpe che raffigurano alcune delle opere più famose del museo, reinterpretate dal graphic designer inglese Peter Saville.
Potremmo riassumere quanto detto dicendo che raggiungere nuovi pubblici non dovrebbe limitarsi solo alla differenziazione della proposta culturale a livello di contenuti. Anche la ricerca di nuovi mezzi attraverso cui trasmettere questi contenuti deve essere considerata un fattore importante.
A proposito… cosa ne pensi dell’idea di vendere i lapilli del Vesuvio?
Non è una battuta, ma un’idea di Massimo Osanna, ex direttore del Parco Archeologico di Pompei, e oggi direttore generale dei musei italiani.
Credi che potrebbe essere un modo alternativo per valorizzare un bene che è presente in abbondanza e che rimane inutilizzato nei depositi del parco archeologico?