Il product placement è una forma di pubblicità indiretta utilizzata dalla maggior parte dei più grandi brand del mondo.
Non si tratta certo di una novità ma resiste e convive con i target profilati del web, le campagne sui social e tutto il nuovo concetto del marketing: farsi trovare invece di imporsi. Il product placement in effetti si impone, ma solo un po’.
La domanda cruciale però è: il product placement funziona davvero? Se ti chiedessi quale brand ha sponsorizzato un certo film o programma televisivo probabilmente non sapresti rispondermi. Quindi vuol dire che non funziona? Beh non proprio, non sempre… mi sai dire che occhiali indossava Tom Cruise in Top Gun? Scommetto proprio di sì!
Product placement definizione
La definizione di product placement secondo Wikipedia è questa qui:
La pubblicità indiretta (in inglese product placement) è quel tipo di pubblicità che compare in spazi non prettamente pubblicitari, senza essere segnalata come tale. Si usa, invece il termine di pubblicità occulta quando avviene in modo non palese e quindi il termine assume una forte connotazione negativa. Si realizza generalmente attraverso l’inserimento di prodotti di un certo marchio all’interno di un prodotto cinematografico o televisivo, a fronte del pagamento di un corrispettivo da parte dell’azienda che viene pubblicizzata.
Quando in un film il protagonista beve una Coca-Cola, indossa delle scarpe Nike o guida l’ultimo modello Range Rover, 90 su 100 stiamo vedendo un esempio di product placement. È probabilissimo infatti che l’azienda abbia contattato il produttore e pagato una cifra per far inserire il suo prodotto nel film.
L’altro 10% è quando il prodotto viene volontariamente inserito senza che nessuno paghi. Capiterà di rado ma capita. Per esempio in Stranger Things si vedono i Waffle Eggo ma Netflix ha fatto sapere che non sono stati pagati per farlo. È che semplicemente ci stavano bene in quella scena. In questo caso il brand si strofina le mani e ringrazia la sfacciata fortuna.
Il product placement nei film e nelle serie TV è probabilmente quello a cui viene destinato più budget. Ciò non toglie che si possa fare anche con i programmi televisivi, i video musicali, i videogiochi e praticamente tutte le forme che prevedono una narrazione. Adesso si fa product placement advertising anche sui Social Network.
Il product placement può essere chiamato anche embedded marketing (embedded = incorporato, integrato) oppure, in italiano, pubblicità indiretta. La differenza con la pubblicità tradizionale e diretta è proprio quella di non dichiararsi come tale e di non interrompere la narrazione.
Il Product placement sui Social Network
La parola d’ordine è INFLUENCER! Oggi va molto di moda fra le aziende pagare un influencer perché si mostri sui suoi canali Social insieme al loro prodotto. Anche questo è un tipo di product placement che, in particolare, funziona a due condizioni:
- L’influencer deve essere veramente un influencer;
- L’associazione deve essere credibile.
Il primo punto si riferisce al fatto che un influencer non è semplicemente uno che ha tanti followers su Instagram, ma una persona che suscita ammirazione e rispetto in un certo tipo di target (mirato e ben definito) al punto da influenzare le loro scelte di acquisto.
Il secondo punto è una strettissima conseguenza del primo: se vendi trucchi e vuoi fare product placement sui social cerca un influencer che si rivolge ad un pubblico femminile, attento a moda e stile, giovane o meno in base alla fascia di prezzo e che potrebbe veramente usare il tuo prodotto. Un influencer non vale l’altro!
Ma lo sapevi che anche il mondo dell’arte e museale in generale si sta avvicinando a questo concetto con influencer del calibro di Chiara Ferragni? Leggi il nostro articolo su come è cambiata l’Arte oggi!
Product placement esempi
Ritornando al product placement più “classico”, di esempi significativi ce ne sono tanti. La White Owl per esempio aveva pagato 250 mila dollari per far fumare uno dei loro sigari a Paul Muni in Scarface.
In E.T il protagonista usava delle caramelle Reese’s Pieces per attirare l’extraterrestre fuori dal bosco. Da quel momento la Hershey aveva triplicato le vendite delle caramelle e ne aveva avuto la possibilità solo perché la Mars non aveva voluto pagare Spielberg per usare le M&M’s.
Eclatante il caso di Ray Ban: da essere un’azienda in difficoltà è diventata quello che è anche per aver fatto indossare i suoi occhiali a Tom Cruise, prima in Risky Business e poi in Top Gun. Doveva essere proprio convinta di aver fatto bene per investire ancora una bella cifra e inserire i Ray Ban in Men in Black II.
Poco o niente efficaci invece i 103 marchi in Driver, di Stallone e i 68 in Transformers che, come chissà quanti altri, sono serviti a ben poco.
Da questi esempi sembra proprio che il product placement a volte funzioni e a volte no.
Tipi di product placement
Il product placement può essere di due tipi:
- Screen placement: quando il prodotto brandizzato in un modo o nell’altro si vede nella narrazione. Lo si può vedere in primo piano o sullo sfondo, usato da uno dei protagonisti oppure no, questo dipende dagli accordi.
- Script placement: non c’è propriamente l’oggetto, quindi il logo non si vede. In questo caso il brand viene inserito nel copione ed è uno degli attori a nominarlo verbalmente un numero X di volte. Il tipo script è più raro dello screen.
Come in tutte le cose poi esistono gli ibridi, le idee originali e i casi rari. Come in Il diavolo veste Prada dove addirittura senza il brand non ci sarebbe il film!
Secondo qualcuno esiste anche un terzo tipo di product placement, che sarebbe il plot placement. In questo caso l’oggetto non è solo posizionato ma ha un vero e proprio ruolo nella narrazione. Io però non lo metterei insieme ai primi due perché mi sembra su un livello diverso. Plot o non plot riguarda più che altro l’efficacia della pubblicità indiretta, come dice Lindstrom.
Quando funziona veramente la pubblicità indiretta
Martin Lindstrom è uno dei maggiori esperti di marketing nel mondo e ha scritto un libro intitolato Neuromarketing: attività cerebrale e comportamenti di acquisto.
Uno dei capitoli è dedicato proprio al product placement e ad un esperimento fatto con SST, un esame che segue le onde rapide del cervello. Lindstrom con questo esperimento ha risposto alla domanda: quando funziona la pubblicità indiretta?
American Idol è un programma americano in stile X factor in cui hanno investito per il product placement Coca-Cola, Ford e una compagnia telefonica.
L’esperimento con SST dimostrava che le persone, dopo aver visto il programma, ricordavano decisamente Coca-Cola e decisamente poco Ford, anche se le due aziende avevano speso la stessa cifra (milioni) per comparire. Come mai?
Non solo i giudici bevevano la bevanda Coca-Cola durante il programma, ma erano anche seduti su sedie arrotondate che ricordavano la forma delle bottigliette e stavano in uno studio dalle pareti rosse. Ford non aveva nulla di tutto ciò.
La risposta alla domanda è quindi che “non abbiamo ricordo di marchi che non svolgono una parte integrante nella storia” e che “il prodotto deve avere un senso nella narrazione”. Questo è il concetto di plot placement: il product placement funziona se il prodotto ha un ruolo nella narrazione, altrimenti è molto probabile che non venga ricordato dagli spettatori.
Detto questo… Starbucks in Game of Thrones? Forse sarebbe stato meglio di no 😉 .